Succede che al Pedrotti io provo a salirci 2 volte, da sola, dalla Val delle Seghe. Ma il meteo mi ferma sempre e senza troppa esperienza scendo, abbandonando la mia piccola impresa e tornandomene a casa sconsolata. Erano le mie prime uscite in montagna con il nano, non avevo ancora ben chiara l’idea di come andarci e di dove andare sopratutto. Raggiungevo rifugi e tornavo indietro sulla stessa strada, spesso, quasi sempre, per evitare di incrodarmi in giro.
Poi succede che il Pedrotti finisce nella lista di quei posti che vorrei, ma niente, non posso. Poi succedono un sacco di cose, brutte, belle, mediocri… in una settimana brutta brutta di due anni fa ormai, nel tentativo di farmi felice qualcuno mi chiede “Dove vorresti andare?” e io rispondo “Al Pedrotti, in realtà vorrei arrivare alla Bocca di Brenta ma non so se sono in grado…soffro di vertigini”. Tre giorni dopo ero alla Bocca di Brenta e scendevo verso il Brentei sulle tracce di una Dolomiti di Brenta fatta al contrario e in autonomia col nano. Lì, esattamente lì, nacque l’idea che forse potevo smettere di guardare la traccia gpx della Dolomiti di Brenta Trail e farla davvero. Un anno di km, dislivello, gare più lunghe, più difficili e poi lei alla fine di una stagione fatta di corse e camminate tra crode e prati. I miei soliti post, le foto, qualche video, la mia gioia di aver superato un altro piccolo scoglio.
E mi scrive uno. Ci conosciamo da parecchio, di vista, ci siamo visti qualche volta in mezzo alla neve, la passione in comune per lo snowboard e la fotografia: lui fotografo, io volevo diventarlo. Poi ci si perde di vista per anni, molti anni. Poi corro la Dolomiti di Brenta Trail, lui lo vede e mi scrive “Grande Yle! vorrei farla anch’io, se riesco ad allenarmi l’anno prossimo ci provo”. Rispondo “se ti iscrivi tu, mi iscrivo di nuovo anch’io…”.
Ci siamo seguiti tra Strava e IG per un anno, tra gare e giri, allenamenti e crode. E’ il 10 luglio quando mi manda una foto della Bocca di Brenta sgombera da neve. Io gli rispondo “la facciamo?” e lui mi dice “Se riesco ad allenarmi, vediamo”. Passa Luglio e al primo di Agosto mi manda la foto dello screen dell’iscrizione alla gara. Io le promesse le mantengo, cosi provvedo. Nel frattempo si aggiunge Dani della Translagorai “la facciamo?”, “se ti iscrivi la faccio con te”.
1+1=3 cosi mi ritrovo dietro i nastri di partenza con Andreapompinidotcom e Dani, so già che mi aspetteranno per tutti i 48km.
Faccio pace col cervello e mi dico che è una scelta loro.
Questa Dolomiti di Brenta è stata un viaggio, un meraviglioso viaggio fatto di chiacchiere, di conoscenze, di panorami, di fatica ma senza strafare. Tipo un’escursione della SAT ha detto qualcuno alla Bocca di Brenta. Perchè una gara può essere anche questo se tu lo vuoi: un’occasione per vivere dei km diversamente. Non è il pettorale a far la differenza, non è il tempo a dettar legge, ma è ciò che tu vuoi che sia. 48k per ragionare sul cambiamento e io non sono la stessa persona che ha varcato la Bocca di Brenta la prima volta, eppure son passati solo due anni.
Cammino con Andrea, che ha lasciato il lavoro di fotografo e ha deciso di trasferirsi tra le Valli del Trentino, alle spalle della Bocca di Brenta. Cammino con Dani che ho conosciuto appena due mesi fa alla Translagorai, lui corre di solito, ma oggi cammina con noi. Corriamo in discesa, chiacchieriamo in salita. E’ un ritmo diverso, con meno ansia, meno apprensione, conosco il giro: so che dopo la salita, si arriva alla piana di Malga Spora dove prati verdi si aprono incastrati tra crode argentee, dove ci sono le marmotte e se alzi lo sguardo le cime sembrano lontane lontane. So che dopo il passo della Gaiarda, il vento soffia aria fredda e si apre un panorama che non ti aspetti conoscendo le Dolomiti di Brenta: massi argentei si alzano da pendii verdi, a destra il Campo della Flavona scende largo e dolce, davanti il sentiero si apre tra il Turrion Alto e il Turrion Basso, tagliando le prime rocce bianche sulla salita verso il Passo Grostè. So che passato il Graffer, si fa tutto quel traverso tra crode e crodoni che ti porta al Tuckett, so che dopo la discesa e la leggera salita prima di arrivare al Brentei, ti trovi la Tosa davanti e il Canalone Neri. E so, che dopo il Brentei si sale alla Bocca di Brenta, di traverso, in quel panorama unico che solo lei ti sa regalare.
Mi godo il viaggio e penso a quanta ansia avessi di non arrivare l’anno scorso. Penso a come si possa cambiare in due anni, penso alle gambe che mi tremavano sul traverso che dalla Bocca di Brenta ti porta al Brentei, penso ad un sacco di cose. E le mie gambe vanno, la mia testa non guarda giù, ridiamo e scherziamo e la Bocca di Brenta ci appare davanti sotto ad una leggera pioggia, insistente, ormai da un paio d’ore. E’ questo il luogo che io considero il varco verso qualcosa che prima era impossibile e invece ora è possibile, per la terza volta. La sera seduta nel parcheggio aspettando le tagliatelle ai porcini di un orso, che anche questa volta mi ha atteso al traguardo, ne discuto e ne parlo: qualcuno dice “quando mi metto il pettorale è una storia di competitività”, ci ragiono, per me no. Perchè io prima non credevo proprio sarebbe stato possibile: per me è una storia con me stessa, con le mie paure e con quello che il mio cervello crede che io non possa fare, e invece faccio. Non posso permettermi di essere competitiva con il mondo, quando io stessa fatico a credere di poterlo fare. E’ una storia di avventura vissuta dentro di me, con la mia testa, con la mia mente, con quella parte di me che parla troppo e che farei meglio a non ascoltare. Km e dislivello per far fatica e fare pace con quella rabbia che ho dentro alla quale non riesco a dare sfogo. Sono questi km a permettermi di vivere più serenamente di quanto in realtà possa fare quotidianamente.
Quando sei un pò più grande della sofferenza, del dolore e della tentazione di fermarti, ti dai l’opportunità di vedere oltre, di comprendere cose che la sicurezza dell’immobilità ti impediva di conoscere. Tutto passa, tutto è transitorio e se ti dai il tempo anche il dolore svanisce. (…) Correre diventa uno stato mentale, e la ripetitività del gesto ti fa trascendere da te stesso. Non sei più un uomo che corre, e in questo processo di trasformazione, attivato dalla fatica, dalla distanza e dal ritmo dei passi sempre uguali, ti trasformi in una nuova versione di te stesso” scrive Alex Bellini.
Al di là delle distanze, dei km, dei dislivelli, delle vertigini c’è un viaggio che io affronto con me stessa, ogni volta che metto un pettorale. Non è una storia di fisico e prestazione, ma è un viaggio dentro di me, un’avventura che vivo in posti fighi ma dentro la mia testa.
Non credo arriverà il giorno che comincerò ad allenarmi seriamente e smettere di credere di non farcela, o forse si, non lo so.
Comincia a scrivere male
Altrimenti devo sempre farti i complimenti eh!!! 😂😂😂
Che dire se non Grazie… alla prossima avventura
Grazie Dani! Avanzi ma troverò un modo per sdebitarmi 🙂
🙂 Grazie!