Parte 1
Potrei dire che gli unici 5 minuti di sole li ho visti a forcella Lavaredo e piangevo in piena crisi. Ho combattuto con il vento freddo tutto il tempo.
Ma sono solo scuse.
In realtà io finora ho avuto solo fortuna probabilmente. Lo star fuori ore per me è sempre stato facile, le crisi le ho sempre superate agevolmente. Se dico una cosa è quella, se me ne convinco riesco a convincere anche quella che è dentro di me e la discussione finisce lì. Ma questa volta è stato diverso.
Ero convinta che il fatto di auto organizzarla questa LUT mi avrebbe dato motivazione, e così è stato. Ma effettivamente il “trovare tutto pronto” della gara è una determinante da non sottovalutare. In ogni caso, ho lottato fin dalle prime ore nel tentativo vano di convincere me stessa che fosse un’idea intelligente quella di percorrere quei 120k in supporto ma fuori gara, con le mie regole e i miei tempi. Nonostante l’idea a me sembrasse molto sensata la discussione si è protratta per 22h. La caverna, quella che tanti descrivono come il luogo delle crisi negli sport di endurance, la mia caverna è bella profonda, tanto… e questa volta ci son stata per parecchio tempo. Nella mia mente si alternavano momenti di estrema lucidità a momenti di totale sconforto, dove i pensieri più assurdi diventavano realtà, e mi impedivano di rimanere legata al terreno che calpestavo. La pelle mi bruciava da dentro, la testa scoppiava di parole che non ricordo. Fuori, chi ha corso con me ha visto solo silenzio, credo. Ma io dentro ero nel casino più totale, nel rumore più assordante e fastidioso che abbia mai sentito.
Nonostante questo le gambe giravano e non ho mai mollato, anzi, sotto le urla fastidiose di quella parte di me che mi obbligava a fermarmi, rinunciare, lasciare, con le scuse più assurde man mano che passavano le ore, sotto quel chiasso io ho sempre continuato a sbachettare.
Non so come ho fatto. Ma l’ho fatto.
Reagivo alle urla, camminando più forte, reagivo agli imprechi correndo anche quando non ne avevo più, ponendomi obbiettivi facili, sfide accettabili: “arriva fino alla curva cercando di correre”. Non ho mai lottato così tanto per riuscire a star fuori ore tra le mie corde, nel luogo che tanto amo.
Parte 2
Questa lotta continua mi ha sfinito, distrutto, logorato. Ne ho trovato la chiave al Lago di Landro quando l’orso mi ha tirato le orecchie riportando alla realtà, ho cercato di forzare battute e sorrisi, spostare il focus su cazzate, cose poco importanti ma presenti in quel momento. Il ristoro di Cimabanche mi ha ridato motivazione: vedere i miei amici cucinare ed aiutarmi mi ha aiutato a ritrovare fiducia in quell’idea: loro non c’entravano nulla con la corsa eppure erano lì per me, senza conoscersi tra loro ma divertiti dalla situazione. Coinvolti e partecipi di quel processo che non era solo mio, ma condiviso.
Forcella Leròsa nonostante i racconti è bellissima, e la salita vale tutte le bestemmie profuse per arrivarci: prati e alpeggi, mucche e campanacci, crode, tutto quello che amo mi riempie l’anima. Non sono più veloce, lo sento, ma sono costante e questo basta, credo. Sono nella mia tabella di orari, ma mi sembra di essere in giro da giorni, ho perso totalmente la concezione del tempo e quella dentro di me non smette per un attimo di urlare. Li ritrovo tutti a Ra Stua, sanno che ora c’è il pezzo più duro e sono lì, anche chi non cammina è lì sul percorso per me. Se penso a quello che volevo lo vedo davanti a me. L’arrivo in Val Travenanzes è fatto di numeri: quella dentro di me si è messa a far conti, calcola ore, sballa orari, fa previsioni di tempi assurdi e me li urla dentro, con tutto il fiato che ha. All’imbocco di Val Travenanzes sfinita le urlo di stare zitta, lo faccio davvero, chi era con me ha creduto mi auto motivassi, ma urlavo con lei, le chiedevo di smetterla. Aumento, lo sento, il tempo è pessimo, l’aria gelida, ma i colori bellissimi, questa valle è magia. Nell’attraversamento di uno dei primi traversi, in un rigagnolo di acqua sulle corde bagnate scivolo, cado mi bagno la pancia. Non me ne rendo conto. L’aria fredda continua. E io sbacchetto. Raggiungiamo i guadi, l’acqua è alta e gelida, i piedi bagnati. In forcella piove. La mia pancia si contrae. Un cervo enorme attraversa il letto del fiume ed entra tra i mughi sotto la cascata della Tofana, con la croda argentea di sfondo. Quando cazzo mi ricapita di vedere una scena del genere? Mi fermo. Respiro. Lei continua cazzo. Non smette. Ma quanto fiato ha? Parla di numeri, km, ore. Non le lascio rovinarmi il momento, lo sento è lì, si ferma ci guarda e scompare tra i mughi. Riparto. La pancia tira, rigida. Ho smesso di mangiare da quando sono caduta, ho sete, ma non bevo perché l’acqua è fredda. E la mia pancia già tira così. Sento i brividi. Tremo. Piove. So quanta strada mi manca, la conosco Val Travenanzes, so che così se voglio arrivare in cima devo rallentare. A Cason di Travenanzes l’aria è freddissima, la mia pelle non brucia più e comincio a sentire freddo, tanto freddo. Una cerva, sotto il ghiaione della Tofana di Rozes, a 10 metri da noi, si ferma sullo sfondo il Ciaval, 7 metri, muove le orecchie, gira la testa, non si sposta, 5 metri, è enorme, ambrata, col collo fine, le orecchie grandi, gli occhi giganteschi. Mi son sempre chiesta se ci fossero cervi in val travenanzes, ecco la risposta. Schizza via, e io continuo. Lo stomaco si contrare e la nausea sale, il freddo ormai è insopportabile. Piccoli obbiettivi, che ora son diventati “arriva in forcella e poi prova a vomitare”. Ci sono ma non serve. Sono finita, le gambe ci sono ma il mio stomaco e il freddo che sento mi fanno mollare. Vedo Croda da Lago, il Formin, lei urla ancora più forte e io mi arrendo. Nel luogo più bello del mondo, dove speravo di ritrovare la motivazione io mi arrendo sotto i crampi del mio stomaco. Lei esulta. Io vorrei piangere.
“Alzati e continua, così prendi freddo.”
Mi intima l’orso, ha ragione. Ma ora vorrei stare qui. Solo qui.
Parte 3
Vorrei dire che va bene così, che è tutto ok. In realtà più passano i giorni e più sono arrabbiata, volevo finirla, potevo finirla, ne avevo ancora se solo non avessi avuto male causa ciclo. Si, lo dico, perchè potrebbe essere un tabù ma in realtà per noi donne è una determinante non da poco, che ti toglie forze ed energie che altrimenti sarebbero state impiegate per arrivare alla fine. Il ciclo ti compromette mentalmente e fisicamente, tanto, troppo e per me è sempre stato un limite, odio i limiti e cerco da una vita di combatterli. Inutile, c’è, esiste, serve, e bisogna farci i conti. Quindi, no non è andato tutto bene, per niente. Più passano i giorni più sono arrabbiata, probabilmente perche la sensazione di dolore che ho provato si affievolisce e rimane il ricordo di gambe ancora buone e in grado di spingere in salita.
Cosa resta. Resta un’avventura che non ho vissuto solo io ma anche chi era con me, e a loro devo dire GRAZIE. Perche a dire il vero il bello di tutta questa storia, non è che io ho tentato di fare 120k in autonomia, fuori gara, ma che 10 persone hanno deciso di dedicare il loro tempo a me, in questa cosa probabilmente folle. Molti di loro non corrono nemmeno e nemmeno sanno come funziona eppure erano li.
Quindi GRAZIE.
Grazie a Riky che ha corso con me 97k, mi ha spronato, e ci ha creduto. 22h fianco a fianco a far fatica, col male addosso, in condizioni non sempre felici, la gente fa le cene romantiche, noi le ore le passiamo cosi, gomito gomito in salita. Non è sempre facile, un pò come nella vita, ma ormai conosciamo i nostri tempi e le nostre sicurezze e il nostro camminare è coordinato e armonico.
Grazie a Dani che nonostante una LUT chiusa il week end precedente ha mantenuto la promessa e mi ha accompagnato tutta la notte, rispettando i miei silenzi e affievolendo le mie paure. Amici cosi, van tenuti, curati, coltivati, sempre. E grazie alla @vale che si è fidata, ci ha accompagnato e c’è stata, combattendo qualche mostro assieme a noi.
Grazie alla Fra che nonostante il pessimo periodo c’era. Una di quelle persone che sai che non ti abbandoneranno mai. Tra noi c’è cura, costanza, presenza. Tra noi ci si dona leggerezza, risate, sempre nonostante tutto. Il tempo è il nostro regalo e io ne sono grata.
Grazie anche a Maria che non c’era, ma so che mi ha pensato intensamente perche sa quanto conta per me.
Grazie a Milena che si è sparata i km piu critici al mio fianco. Non ci conosciamo ancora bene, ma qualcuno ha detto che io e lei “stiamo bene assieme, perche siamo alla Buona” non so se è un complimento, ma per noi lo è. Io con lei sto davvero bene e so che potrei farci davvero tante ore gomito a gomito. Lei è leggera, ad ogni problema c’è comunque una soluzione facile, è una di quelle che non molla, rallenta ma non molla, è un mulo, come me, e mi piace perche mi sento al sicuro assieme a lei.
Grazie a Jo e Tommaso, che c’erano, nonostante l’ambiente fosse per loro fuori dalla comfort zone, c’erano. La Jo è la mami che tutti vorrebbero, quella che scava senza aver mai corso un’ultra, quella che rimane e si preoccupa per te nonostante tutto, quella che c’è sempre e comunque anche quando non c’è, e io il suo pensiero l’ho sentito per tutte e 22h.
Grazie a Elina e Michele che seduti ad un tavolo all’ultimo dell’anno hanno accettato questa follia senza chiederne i dettagli. Che mi hanno scaldato quando sono arrivata sfinita, che mi hanno coccolato e si sono preoccupati che io recuperassi. Grazie alla leggerezza con la quale fate sembrare quello che fate niente invece è tantissimo.
Grazie a Emanuela che voleva correre con me l’ultimo pezzo ma non ci siamo riuscite, lei che a correre sta imparando, in lei vedo me qualche anno fa, lei che ripone tutta la fiducia in me, e questa volta ha visto l’altra faccia della medaglia. Quella meno bella. Grazie per esserci stata lo stesso.
E Grazie a me, che ho gambe buone e una buona testa per poter essere grata di tutto questo.
Corteggio queste montagne da anni ormai, non è ancora il mio momento, arriverà, arriverà anche per me quel momento.
Era il 2017, quando in un giorno di agosto scendendo dal sentiero che porta a Federavecchia dissi al Viga “vedi, questo nella LUT si fa in salita” e lui mi rispose “ dai che magari un giorno la facciamo, tra qualche anno”.
So che eri con me.
E so che ci sarai anche quando la chiuderò.
Aspetta.